Una mostra per non dimenticare

LunedA� 30 gennaio io e la mia classe, la 2B, insieme alla 2E e 2F, siamo andati a Cazzano a visitare una mostra sulla Shoah, in occasione del Giorno della Memoria.

Dopo averci accolti, ci hanno fatto guardare un video, preceduto da una spiegazione di tutti i vari spazi di un campo di concentramento e ho capito come i Tedeschi utilizzavano questo luogo.

Ci hanno detto ad esempio che, in tutta Europa, i campi di sterminio erano sei e il piA? famoso, ma anche il piA? grande, era quello di Auschwitz, situato in una cittadina polacca.

 

Questi a�?campia�?, oltre che campi di concentramento, si possono chiamare anche campi di sterminio. Nel campo di Auschwitz deportavano in particolare gli Ebrei da��Europa.

Di questi, il 20% veniva impiegato nel lavoro, ma erano solo giovani uomini e alcune donne.

Il restante 80%, anziani e bambini, veniva ucciso.

Anche il padre della signora che ha allestito la mostra A? stato deportato in un campo di concentramento.

I deportati venivano caricati sui vagoni dei treni, caldi da��estate e freddi da��inverno, senza servizi igienici.

Il 17-18 luglio 1942 arrivA? la��ordine di organizzare il completo sterminio degli Ebrei in Europa. Una volta giunti al campo, la parola piA? importante era a�?selezionea�?: se per i cittadini comuni essa era un termine normalmente utilizzato, per chi si trovava in un campo di concentramento significava differenza tra chi (da quel momento) aveva ancora diritto di vivere e chi no.

Tutto il sistema era organizzato secondo una serie di bugie: la prima era che gli Ebrei non erano considerati uguali agli altri, perchA� professavano una��altra religione e, per questo, vennero deportati; poi, la��allontanamento dalle loro case avveniva per mezzo di una��altra bugia: dicevano che sarebbero andati a lavorare nei campi. Venivano fatti salire sui treni con la��inganno di un possibile ritorno; infatti, veniva chiesto loro di portare le cose piA? preziose.

Il sistema delle camere a gas era la bugia piA? grossa e quella che mi ha colpito maggiormente: i deportati erano condotti in una sala con la scusa di fare una doccia. Venivano invitati a spogliarsi completamente e a sistemare con ordine i propri vestiti su apposite panche e appendiabiti, creati come finto arredamento per far credere che sarebbero tornati a riprendersi le loro cose, una volta terminata la doccia. Era stato tutto pensato e strutturato per raggiungere un obiettivo crudele con la��inganno! In realtA�, le docce erano finte, perchA? non erano collegate a nessuna tubatura da��acqua.

Nessuno A? sopravvissuto alle camere a gas: il documentario ci ha mostrato come i soldati tedeschi chiudevano le bocchette della��aria e versavano un gas micidiale nella stanza che, in soli 10 minuti, faceva morire i condannati.

Era un metodo veloce e infallibile. Sono rimasta senza parole.

Ho osservato con attenzione anche le fotografie che costituivano la mostra: erano suddivise in fotografie che rappresentavano la��arrivo dei treni nei campi di sterminio; fotografie della selezione e della��incisione di un numero sul braccio; fotografie dell’attesa della condanna a morte; fotografie delle baracche, sia alla��esterno che alla��interno. Le piA? impressionanti, a mio parere, erano le foto delle camere a gas e dei forni crematori.

Molto emozionanti e toccanti erano alcune lettere che i deportati scrissero ai propri familiari per salutarli e per comunicare loro il proprio affetto: ciA? significa che gli Ebrei avevano capito che non ci sarebbe stata alcuna possibilitA� di salvezza.

Una fotografia aveva un valore particolare perchA� si trattava di una foto clandestina, cioA? scattata dai prigionieri che erano riusciti a impossessarsi di nascosto della macchina fotografica tenuta in un magazzino, insieme ad altre cose di valore dei prigionieri. Hanno rischiato la vita per recuperarla, per scattare la foto e per farla sviluppare al di fuori del campo. Ma tutto questo perchA� volevano documentare ciA? che avveniva nel campo e farlo sapere al mondo incredulo che ca��era fuori.

La responsabile della mostra ci ha infine mostrato alcuni documenti originali e dei sassi provenienti dai muri dei campi di sterminio. Ha precisato che, appena liberati i campi, i sopravvissuti avevano paura di parlare perchA� non erano creduti: quello che era successo sembrava impossibile. Poi, per fortuna, qualcuno ha iniziato a testimoniare e a portare i ricordi anche nelle scuole.

A? stata una visita molto istruttiva e interessante; A? importante ricordare questi avvenimenti per imparare dagli errori del passato e per non commetterli nuovamente.

 

Miriam Galliani    

2B can i buy zoloft online, zithromax without prescription

Skip to content